Continua la serie di post speciali dedicati alla Giornata internazionale della donna.
L’Otto marzo del 2021 è stata una lunga giornata di lotta delle donne. È stata lunga perché vissuta all’interno di un’altra grande lotta, quella contro la pandemia e i suoi effetti sociali, economici e culturali. È stata lunga perché è come se fosse durata un anno, un anno di vita sospesa in cui tutto è cambiato e la lotta ha preso forma nelle case, nelle scuole, negli ospedali e mai come in quest’anno il privato è diventato politico.
L’Otto marzo del 2021 il nostro Paese è stato momentaneamente ricolorato e, cancellato il puzzle della malattia che ci separa e organizza in zone gialle, arancioni e bianche, si è fatto completamente fucsia, il colore che il movimento femminista transizionale “Non Una di Meno” – uno dei più attivi ma non l’unico – ha scelto per vestire le piazze italiane, il colore dei loro fazzoletti e dei cartelli, dei cappelli e degli ombrelli, una tinta aggressiva e giocosa che, abbinata con il nero, ha chiamato nelle strade i corpi delle donne e degli uomini per riprendere, anche solo per un giorno, spazio e parola, in un momento storico drammatico in cui spazi e parole vengono compressi e ri-organizzati intorno al concetto di emergenza. E, come più spesso avveniva qualche decennio fa, la riappropriazione dello spazio pubblico ha preso il nome di sciopero, una mobilitazione trasversale che ha visto la partecipazione di migliaia di donne che, con modalità diverse, hanno sospeso il tempo della produzione, della riproduzione e della cura, si sono “disconnesse”, e hanno manifestato sottolineando soprattutto due temi chiave che segnano la lotta femminista in questo momento storico, in particolare, ma che da sempre condizionano le esistenze delle donne: la violenza maschile, messa in atto soprattutto fra le mura di casa, e la discriminazione di genere, la forma più evidente e subdola di un patriarcato che innerva tutti i campi della società.
Un gruppo di ragazze, in particolare, ha organizzato un flashmob davanti al ministero dell’Economia e delle Finanze per opporsi a un recovery plan «patriarcale e confindustriale» che organizza le parole d’ordine dell’emergenza e le trasforma in obiettivi che inchiodano le donne ai ruoli di sempre; le cosiddette “politiche di conciliazione”, per esempio, prevedono che chi deve conciliare due lavori, quello dentro e quello fuori casa, sia, naturalmente, la donna. Di nuovo il potere vuole formare, ri-modellare, adeguare e riprogrammare la vita e il lavoro delle donne, in nome della “resilienza”, per dare maggiore solidità proprio a quelle dinamiche che costringono e controllano le donne stesse. Smatworking e part-time alla patria, come oro e figli in altri tempi oscuri o come quando gli uomini erano al fronte e il mondo, momentaneamente privato del motore maschile, utilizzava quello di scorta, altrettanto utile e potente, da riporre, però, sotto chiave una volta ripristinato l’ordine “naturale” delle cose.
Immagine: Berthe Morisot, Blanchisseuse, 1881
