L’#Istat dice che nel 2019 le #donne sono state il 57,1% dei #laureati totali, con un trend in costante crescita da anni, che sono la maggioranza degli iscritti all’#università, ai corsi post laurea, e che hanno risultati migliori in tutti i cicli di studi. Nonostante ciò il nostro Paese ha uno dei tassi di occupazione femminile più bassi in Europa, le donne costituiscono il 53% del personale impiegatizio, ma solo il 15% dei quadri e dirigenti. (E poi ci stupiamo che la percentuale delle elette sia ancora più bassa).
Le “scelte” universitarie dicono che le donne sono poco presenti nelle facoltà scientifiche, e molto in quelle umanistiche costruendo, in media, un bagaglio di competenze verso carriere, quando ci sono, meno remunerative e/o con minore spinta versa i vertici.
Perché?
Gli stereotipi sugli “studi da maschi” e “studi da femmina”, sono molto radicati in famiglia, nella classe insegnante, nella società, costituiscono una delle forme più subdole del patriarcato, fanno perdere fiducia nelle proprie potenzialità (non solo alle ragazze ma anche ai ragazzi, pensate quante attività sono pregiudizialmente precluse ai maschi alpha che si vorrebbero crescere). Le difficoltà, con l’ingresso nel mondo del lavoro poi aumentano, come tristemente sappiamo (le differenze diventano voragini tra le donne con famiglia e non, tanto per dirne una e la/le Wonder Woman che sono amministratrici delegate di tre aziende, hanno 4 figli, due cani e sono ovviamente sempre impeccabili sono solo l’eccezione che conferma la regola e la bandiera del patriarcato per replicare se stesso).
A cosa porta questo sbilanciamento?
Anche in una prospettiva unicamente economicista, che prescinda totalmente da considerazioni di ordine sociale, è un investimento totalmente sballato.
Uno studio del Parlamento Europeo afferma inoltre che azzerando il gender gap si avrebbe una crescita del PIL mondiale del 26%, pari a 28.000 miliardi di dollari. Questo in media. In Italia, la percentuale è più elevata; quindi, lo Stato spende per formare le persone e si priva poi, in misura importante, dell’apporto al PIL che più della metà delle persone istruite potrebbe dare; è come acquistare un macchinario costoso, da pagare a rate per anni, che potrebbe far aumentare il fatturato di molto e poi non utilizzarlo. Uno spreco assoluto, un costo di lungo periodo.
Le persone non sono macchinari e dunque questo esempio serve solo ad evidenziare quanto la subcultura patriarcale che ci pervade, oltre ad essere ingiusta, portatrice di violenza, retrograda è anche perdente dal punto di vista dello sviluppo economico.Facciamo studiare ragazze e ragazzi, lasciamo che scelgano secondo i propri desideri e inclinazioni, rimuoviamo, prima di tutto in noi stessi, quegli ostacoli culturali che ancora troppo ci pervadono, il Pil economico (e anche quello della felicità) ne beneficeranno.
Nell’immagine Elena Lucrezia Corner Piscopia, prima donna laureata della storia