Preambolo
54 milioni di morti stimati: ecco il bilancio spaventoso della Seconda guerra mondiale; non solo sul suolo europeo, ma in varie altre parti del mondo, più o meno note. A guerra conclusa, diventò necessario e prioritario tornare ad affermare in maniera inequivocabile come la dignità personale e i diritti umani fossero essenziali e inalienabili. La Dichiarazione dei diritti umani, concepita per evitare “atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”, fu approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948. Votarono a favore 48 paesi membri su 58. Le radici della Dichiarazione, però, affondano in un passato ben più lontano: provengono da secoli di riflessione su un nuovo modo di pensare l’essere umano, di considerarlo portatore di diritti uguali e inalienabili, “fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”, a prescindere dalla provenienza geografica, dalla capacità economica, dalle opinioni politiche.Nel preambolo della Dichiarazione universale vengono esplicitati i punti fondamenti: in particolare, viene ben sottolineato come la cultura e l’educazione siano gli strumenti più preziosi e necessari per promuovere il contenuto e i valori espressi nel documento. È demandato, inoltre, il compito di sostenere e diffondere questi ideali non solo agli Stati e alle amministrazioni, ma anche a ogni individuo, nel loro compito di cittadinanza, “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” come viene precisato all’articolo 2 della nostra Carta Costituzione, laddove si afferma che “l’Italia riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.Nonostante siano passati più di settant’anni da questa manifestazione di forte volontà internazionale, in vari luoghi e situazioni del mondo, anche geograficamente molto vicine, i diritti umani continuano a essere trascurati, calpestati, violati, secondo varie declinazioni, non sempre così palesi né evidenti, ma spesso in maniera sistematica e pianificata: ecco perché la Dichiarazione universale dei Diritti umani, che celebreremo per un’intera settimana sulla nostra pagina, deve necessariamente continuare a essere uno strumento sempre riaffermato e ribadito. Per il benessere di tutte e tutti, senza distinzione né discriminazione alcuna.

Articoli 1-6 – Concetti basilari di libertà ed eguaglianza
Fermiamoci un momento, solo un momento, alla radice delle cose. All’oggi. I principi enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sono ancora reali portatori di coscienza nelle società occidentali del terzo millennio? #libertà e #uguaglianza in dignità e diritti (art. 1); #nondiscriminazione per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (art. 2); diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona (art. 3); affrancamento da schiavitù o servitù (art. 4); salvezza da tortura o da crudeltà (art. 5); riconoscimento della propria personalità giuridica (art. 6).Segni di speranza ce ne sono. Ad esempio l’assegnazione del Nobel 2019 per l’economia: a essere insigniti del riconoscimento sono stati Abhijit Banerjee, Esther Duflo (una donna!) e Michael Kremer, per aver messo a tema l’economia dello sviluppo e, al suo interno, il grave problema della povertà.Questa volta gli accademici di Svezia hanno deciso di premiare non chi si accanisce su alchimie algoritmiche, ma chi sta ripensando i fondamenti stessi dello sviluppo. Al di là dell’esito, è fondamentale l’approccio. I parametri neoliberisti ancora molto in voga, basati sull’idea che solo i meccanismi generali del libero mercato sono in grado di garantire lo sviluppo e questo si raggiunge in modo tutto sommato equilibrato con la massimizzazione dei profitti individuali e aziendali, sono smentiti dalla crescita delle disuguaglianze a livello mondiale, dalle tante libertà ancora negate da logiche di dominio e supremazia politica, legate a stretto filo con quelle economiche. Viene assunto un fatto semplice: non possono esserci sviluppo ed emancipazione che non nascano dal basso, dalla persona e dai suoi legami, dal suo prendere l’iniziativa verso se stessa e verso gli altri. Anche se dal dopoguerra sono cambiati (e cambieranno ancora) le forme, i modi, i nomi dell’esclusione, resta sempre la necessità di prendere parte e di fare la propria parte per esprimere la propria umanità nel mondo. Anzi, necessità non è la parola: è la carica umana, la spinta dell’energia vitale, il naturale essere sociale. Oggi #5dicembre è anche la Giornata internazionale del volontariato per lo sviluppo economico e sociale. Tralasciamo le solite stucchevoli affermazioni sulla nobiltà del volontariato, coscienti che nei fatti e negli effetti non equivalga sempre a puro e idealistico altruismo, ma diamoci una mossa perché non è solo la solidarietà, non è la carità che ci può salvare, ma il cambiamento sì. Un cambiamento che sia allo stesso tempo personale, vissuto, praticabile nell’immediato e dalle ampie prospettive socio-ecologiche, che riconosce il proprio valore all’interno di un progetto di comunità. Semplicemente perché giusto, buono e fruttuoso, per tutti, e ci può dare un po’ di sana felicità. Non dimentichiamoci però di guardare alle stelle: la filosofia della condivisione rappresenta sì un modo di declinare il quotidiano, ma anche l’idea che impone alla persona, e dovrà farlo anche nei confronti delle istituzioni, una scelta chiara, nella consapevolezza che l’umanità si trova realmente a un bivio e che adattarsi a sopravvivere in una società fondata sulla competizione, nell’indifferenza o nell’ostilità verso gli altri, sia il segnale di una mortificazione della vita. I suoi interpreti, fra i più illustri Paul Krugman, Serge Latouche, Joseph Stiglitz, la intendono come una sensibilità di fondo che, pur tra opinioni e prospettive diverse, aspira a individuare un cammino autentico di umanizzazione. Scusate se è poco, in un momento storico segnato dalla crisi del valore del legame sociale.

Articoli 7-11 – Tutela dei principi di libertà ed eguaglianza
La Dichiarazione universale dei diritti umani, che celebriamo il 10 dicembre, come ogni anno, è frutto di una lunga costruzione, che parte dai primi princìpi etici classico-europei stabiliti dal Bill of Rights del 1689, dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776, ma soprattutto dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, scritta nel 1789 durante la Rivoluzione francese.Dalle criticità che emersero nel dibattito del 1948, scaturì, di fatto, un documento dall’afflato eurocentrico. Molti esperti sostengono che sia divenuto comunque vincolante come parte del diritto internazionale consuetudinario, e preso a punto di riferimento da oltre 70 anni.Ha costituito l’orizzonte ideale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per confluire nel testo della Costituzione europea, che purtroppo non ha mai visto piena luce per via della sua mancata ratifica da parte di alcuni Stati membri, ma in ambito europeo ne costituisce ugualmente una fonte di ispirazione. Ora, i princìpi di una Carta costituzionale discendono dagli stessi fondamenti del diritto naturale, distinto e contrapposto, in un secolare dibattito, dal diritto positivo, ossia l’insieme delle norme “vigenti”, di quei precetti, cioè, che in un dato momento storico rappresentano l’ordinamento giuridico di uno Stato. Per diritto naturale si intende quell’insieme di princìpi senza tempo, condivisi in modo spontaneo e consuetudinario, quasi ritenuti assiomatici; uno statuto giuridico, cioè, che, a prescindere dalla sua formulazione espressa nell’ordinamento, la collettività dei consociati sente indubitabilmente proprio.Storicamente il diritto alla vita, alla libertà, alla dignità costituiscono il nucleo minimo del diritto naturale, unitamente al diritto al nome, all’identità personale e alla famiglia e sono riconosciuti dalla Dudu.Se da un lato, dunque, la fonte del diritto positivo è l’Autorità del Potere Pubblico (lo Stato), il diritto naturale trova la sua legittimazione in una serie di concezioni filosofiche e politiche che precedono la fondazione stessa dello Stato. L’Autorità si limita, per così dire, al loro riconoscimento e non già alla loro creazione. Proprio per questa ragione il diritto naturale è canone valutativo del diritto positivo, della sua giustezza, della sua equità e, infine, della sua legittimità. Forse però non basta. Come in molti altri ambiti della nostra civiltà, che diventa sempre più complessa, se non complicata, assistiamo ad una crescente divaricazione tra etica e diritto: è bello sperare che la necessaria visione di un progetto europeo davvero unitario, in senso economico, sociale, di sviluppo sostenibile, ecologico possa diventare una realtà anche riscoprendo, valorizzando e perché no attualizzando, quei princìpi del diritto naturale.

Articoli 12-17 – Diritti dell’individuo nei confronti della comunità
“Il discorso, grosso modo, era questo: l’uomo, umanizzandosi, aveva acquisito assieme alle gambe dritte e al passo aitante un istinto migratorio, l’impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale”. Bruce Chatwin ha riassunto in una prospettiva persino biologica la profonda definizione dell’essere umano. Non abbiamo radici – altrimenti saremmo alberi – ma piedi, che hanno permesso al genere umano, fin dai suoi albori, di decidere dove andare, quali percorsi intraprendere, quali luoghi abitare in modo completo e pieno e quali fuggire per una declinazione infinita di motivi e cause. Gli articoli dal dodicesimo al diciassettesimo della Dichiarazione universale dei diritti umani riguardano i diritti umani nel rapporto tra singolarità e comunità. Il rispetto, di ogni essere umano, ovunque si trovi e abiti, si realizza anche nella sua libertà di movimento, nel suo diritto di lasciare il proprio paese, nel cercare e trovare asilo dalle persecuzioni, dalla tortura, dalla violazione dei diritti umani. Ogni essere umano ha inoltre diritto ad avere una cittadinanza, intesa non come strumento identitario ed escludente rispetto all’alterità ma come mezzo di costruzione della collettività; all’interno della comunità, ogni individuo deve poter decidere di costruire la propria famiglia, qualunque sia, “senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza, religione”. Sono articoli, questi, di potenza tellurica, che ci pongono di fronte alla fragilità di un’aspirazione solipsistica ed egoista, e ci investono di una funzione cardine nella costruzione di una nuova prospettiva universale: ognuno di noi, portatore di una legittimità giuridica uguale e paritaria, senza preferenze né prevalenze, contribuisce con la propria vita, nel rispetto dell’altro, a fondare una società aperta, inclusiva e non escludente, priva di pregiudizi e discriminazioni. È un concetto ribadito anche all’articolo 17, quando si parla del diritto, per ogni individuo, ad avere una proprietà “sua personale o in comune con altri”. Perché ognuno di noi potrebbe trovarsi nella necessità di migrare, nell’obbligo di chiedere asilo, nell’impossibilità di realizzare le sue libertà. Il diritto contenuto nella Dichiarazione universale si fonda sulla reciprocità: il punto di vista diverso non cambia il contenuto profondo delle norme. In un’epoca come la nostra, di connessioni globali e di mercato unico (ma non di solidarietà universale), la capacità di cambiare l’angolazione dell’analisi diventa necessaria per comprenderci, finalmente, unitə e pari nella definizione e nella sostanza.

Articoli 18-21 – Libertà fondamentali
Si è liberi e uguali, come recita l’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, se anche le nostre opinioni sono libere e hanno pari dignità rispetto a quelle degli altri.Le #libertà fondamentali sono riconosciute dagli articoli 18, 19, 20 e 21.#Diritti liberali, troppo spesso contrapposti ai diritti sociali, che garantiscono alla persona di esprimere quello che vogliono, non solo nell’intimo, ma in pubblico. Libertà di pensiero, di coscienza e di religione conquistate grazie al sacrifico di eretici di ogni tipo, da Ipazia a Giordano Bruno. Un dritto attuale, in questi tempi di rigurgiti fondamentalisti, come ci ricorda la vicenda di Charlie Hebdo e l’assassinio del professore francese Samuel Paty.Il diritto di vivere la propria religione, senza subire discriminazioni, ma anche il corrispondente dovere di accettare il credo o persino l’ateismo degli altri.Le idee, per crescere, hanno bisogno di informazioni e di libertà di stampa per diffondersi. Come si legge nella Dichiarazione ciò deve avvenire “senza riguardo alle frontiere”, devono poter essere migranti e volare sopra i muri (fisici, nella testa e virtuali).Ogni pensiero, perché non si trasformi in pensée unique e diventi nemico delle libertà, ha bisogno di dibattito, a questo serve la libertà di riunione e di associazione pacifica. La libertà guida il popolo nella conquista degli altri diritti. Il diritto all’ambiente, alla salute, all’istruzione e al lavoro, prima ancora di essere rivendicati, vanno pensati, discussi e declinati. Tutto questo deve avvenire in un contesto di libertà, senza molestie da parte di terzi e tanto meno da parte del potere costituito.È l’esercizio di questi diritti fondamentali che nel corso della storia ha attivato quel potere costituente che ha conquistato il diritto alla partecipazione al governo da parte di ogni cittadino, consentendo il cambiamento e il progresso della società. Partecipazione che si esercita attraverso il suffragio universale e uguale (da non considerare scontato, se si ricordano le lotte delle minoranze afro americane, delle donne e dei movimenti operai) e che si rinnova, ogni giorno, nel diritto di libera associazione.Questi diritti di libertà e partecipazione sono fondamentali, appunto perché sono il principio fondante della nostra democrazia: senza libero confronto e conflitto di idee, anche il migliore sistema di governo è altrimenti destinato a fallire.

Articoli 22-25 – Sicurezza sociale, lavoro, riposo e svago, tenore di vita
La #libertà e i diritti fondamentali necessitano, nel mondo contemporaneo, anche della disponibilità di risorse per attuarli – compito che fa capo alle Amministrazioni della res publica, nel significato più pieno. Nella Dichiarazione universale dei diritti umani questo è un aspetto cardine, una sorta di pietra angolare: gli articoli dal 22 al 25 specificano che tutte e tutti abbiamo il diritto ad abitare in una “casa” (qualunque sia la forma e la struttura), a ricevere cure mediche – particolarmente, i minori – e un’istruzione compiuta. Tuttɘ, inoltre, hanno diritto a disporre dei soldi necessari per una vita dignitosa e, quanto mai contemporanea, un’assistenza sanitaria per quando si ammalano o invecchiano. Aspetto fondamentale, in tutta questa costruzione, banale quanto mai scontata, è che ogni persona adulta ha il diritto di svolgere un #lavoro, per il quale deve ricevere uno stipendio equo, avendo la possibilità di aderire a un sindacato, affinché il suo diritto sia difeso e salvaguardato; ma si ha parimenti diritto al riposo e allo svago.Il perno delle società moderne si declina sul diritto al lavoro, giustamente retribuito, che permette di soddisfare tutti gli altri diritti: è un equilibrio difficile nell’epoca del neoliberismo e del capitalismo sfrenato. In particolare, lo sfruttamento del lavoro minorile, le forme di schiavismo del caporalato agricolo o delle multinazionali di delivery o di logistica sono fenomeni che, in Italia ma anche altrove, stanno progressivamente erodendo il diritto universale. Conquiste assodate sono, attualmente, rimesse in discussione, già prima della pandemia, e molte altre sono bel lontane dall’essere raggiunte; tra queste, il lavoro a tempo indeterminato, l’impossibilità del licenziamento senza giusta causa, il mito del liberismo economico che produce migliaia di Partite Iva senza tutele e con pochi diritti, la parità salariale sostanziale tra uomini e donne a parità di funzioni. Il diritto al lavoro e alla dignità del salario sono punti fondanti, sempre più fragili e precari. Gli articoli dal 22 al 25 riguardano il diritto a essere “bene-stanti”, cioè persone che stanno bene, con un’esistenza serena e dignitosa. Per questo obiettivo, c’è ancora molto lavoro da fare e molte lotte da ri-prendere e portare avanti.

Articoli 26-30 – Istruzione, cultura, ordine sociale e internazionale
Nella Costituzione portoghese del 1976, nata dalla Rivoluzione dei garofani, è sancito in modo chiaro e inequivocabile, un “diritto alla #cultura” che incoraggia la lettura e la diffusione dei servizi culturali. L’articolo 73, nello specifico, indica la cultura come una vera scelta di civiltà: “Lo Stato promuove la democratizzazione della cultura, incentivando e assicurando a tutti i cittadini la fruizione e creazione culturale, in collaborazione con gli organi di comunicazione sociale”. Questo è quanto dovrebbe accadere ovunque, rispettando i principi della Dichiarazione universale dei #dirittiumani, espressi principalmente negli articoli dal 26 al 30. La cultura, in ogni sua forma e declinazione, dovrebbe essere resa fruibile a chiunque e le Amministrazioni pubbliche dovrebbero, allo stesso modo dei diritti sanitari e lavorativi, fare in modo che la cultura non sia solo vissuta come elitario intrattenimento, ma come una forma di apprendimento permanente e continuo rivolto a tutta la popolazione, per ogni fascia d’età. E l’istruzione è parte integrante di questo programma efficiente d’intervento: la scuola non è solo apprendimento, ma un vero e proprio luogo dove si compie il “pieno sviluppo della personalità umana” e dove si rafforzi il “rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. È uno strumento necessario per far sì che chiunque sia pari a chiunque, dotato degli stessi strumenti e delle tecniche per poter scegliere la strada a lui più consona, per far sì che i talenti di chiunque si realizzino compiutamente. I dati sull’analfabetismo di ritorno e quello funzionale sono allarmanti: secondo l’indagine del 2019 “Istruzione e futuro: un gap da colmare” realizzata per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dall’Istituto Cattaneo “il 98,6% degli italiani è alfabetizzato, ma sfiora il 30% la quota di cittadini tra i 25 e i 65 anni con limitazioni nella comprensione, lettura e calcolo”. Le cause sono molteplici, ma sicuramente influisce anche un’atteggiamento diffuso al termine della scuola: la mancanza di investimenti, cioè, finalizzati a mantenere alto il livello di istruzione, realizzabile con piani lungimiranti e concreti rispetto alla capillarità dell’intervento culturale. Bassi livelli di istruzione generano altissimi costi, più di quelli necessari per tenere alti e saldi quegli stessi livelli. La cultura è l’antidoto più robusto e concreto per resistere e scongiurare il ritorno delle barbarie civili e sociali ed è necessaria anche per realizzare concretamente l’ultimo articolo, il numero 30, che chiude e sigilla la Dichiarazione universale dei diritti umani: non può esistere nessun diritto, per nessuno “Stato, gruppo o persona, di esercitare o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati”.