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Ucraina, l’Europa è in folle

L’Europa è oggi una zattera sospesa su un mare fangoso di conflitti irrisolti, che preferiamo definire dimenticati per non ammettere che sono deliberatamente ignorati. Anche quando sono alle nostre porte, anche quando il macello si consuma a un’ora e mezzo di volo. Viviamo nella convinzione ipocrita di essere in pace, quando non facciamo altro che esportare la guerra senza soluzione di continuità, combattendola in casa d’altri, finanziandola, esportando armi da guerra anche in violazione delle leggi del nostro Paese. E chi esporta la guerra, finisce presto o tardi per trovarsela in casa. L’escalation di queste settimane, in Ucraina, era inevitabile: per otto anni le diplomazie occidentali hanno voltato la testa dall’altra parte, lasciando che la popolazione del Donbass subisse gli effetti della nostra incapacità, o non volontà, di affrontare la questione dell’allargamento a est della Nato, e ne morisse nella più totale indifferenza.  La Nato ha inglobato, dal ‘90 a oggi, paesi che erano parte dell’Unione Sovietica o legati a essa dal Patto di Varsavia, con l’esclusione della ex Jugoslavia. L’ingresso nella NATO ha preceduto, in molti casi, quello nell’Unione Europea, a conferma della maggiore importanza del vincolo militare con gli USA rispetto a quello politico con Bruxelles. Poiché la NATO è un’alleanza al guinzaglio di un Paese egemone, gli Stati Uniti, in molti di questi Paesi sono state prontamente installate della basi militari americane. La Casa Bianca si arroga inoltre, come vediamo in questi giorni, il diritto di muovere le sue truppe sul suolo europeo, come fosse casa sua. E di fatto lo è, o almeno è cosi che lo considera: l’Europa non è altro che una provincia dell’impero, che risponde prontamente alla chiamata alle armi quando Washington decide ch’è ora di invadere, aggredire, distruggere, in nome della democrazia, della giustizia, della pace, al pari di qualsiasi warlord illetterato su questo pianeta, e poi ne subisce le conseguenze. 

Ma perché l’escalation, oggi, e perché l’Ucraina?

L’Ucraina rappresenta senz’altro il punto di rottura. Il limite invalicabile, secondo il Cremlino, non più disposto ad accettare la violazione del principio di indivisibilità della sicurezza, compromesso dalla presenza, sui suoi confini, di basi militari dell’alleanza atlantica.  Lo ha fatto capire chiaramente nel 2014, annettendo la Crimea e creando, de facto, le due repubbliche separatiste di Donestk e Luganks- che la Duma ha chiesto di riconoscere ufficialmente solo due giorni fa- rendendo così impossibile l’adesione dell’Ucraina alla Nato.  Nello stesso tempo, le istanze dell’Ucraina, che essendo un paese indipendente rivendica il proprio diritto di scegliere liberamente alleanze militari e commerciali, sono del tutto legittime. Il problema non è semplice: per questo andava affrontato seriamente, aprendo un tavolo di confronto. 

Troppo tardi.

La concentrazione di consistenti truppe russe sul confine ucraino, dal punto di vista temporale, è figlia della clamorosa, drammatica disfatta della Nato in Afghanistan. Mai come oggi gli Stati Uniti sono screditati e livello planetario, e quindi indeboliti. Ciò che li rende, però, ancor più pericolosi: la necessità di rinnovare la loro posizione di egemonia all’interno della Nato ha scatenato la reazione isterica della Casa Bianca, che invece di mettersi in ascolto, per evitare l’escalation, ha gettato  e continua a gettare benzina sul fuoco, proclamando a gran voce l’imminenza di una invasione, il pericolo di un conflitto, proseguendo – nonostante le accese proteste del presidente ucraino, Zelens’kyj, che invita disperatamente ad abbassare i toni- con il solito corollario di esternazioni che hanno reso inutile qualsiasi tentativo di mediazione europeo. Accuse, minacce, ritorsioni, false prove. Le armi di distruzione di massa di Saddam, la complicità dei talebani nell’attacco dell’11 settembre: il modus operandi è sempre lo stesso. Balle, fumo negli occhi, distorsione della realtà, a tutto vantaggio dei media, che di escalation della tensione vivono, e che più o meno consapevolmente, anche in questa occasione, hanno agito come warmaker, costruttori di una guerra che poteva essere evitata. 

Cosa succederà?

Impossibile, al momento, stabilirlo. Gli eventi delle ultime 24 ore- l’autobomba a Donetsk, l’esplosione dell’oleodotto di Lugansk, l’evacuazione di parte dei cittadini delle Repubbliche separatiste sono però significativi, e parlano di un conflitto che ha sempre meno possibilità di essere evitato. 

L’Europa è in mezzo a due fuochi, stretta tra una potenza nucleare determinata a giocare la partita fino in fondo e un alleato aggressivo e incontrollabile, di cui dovrebbe, finalmente, imparare a diffidare.

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