Una riflessione, del nostro Giulio Gasp Gasperini, sul disastro australiano.
#climatechange
“I numeri sono spaventosi, ancora più di tutte le immagini e i filmati che in questi giorni affogano i nostri occhi: si stima che siano diventati cenere circa 3,6 milioni di ettari di territori; che circa 480.000 specie animali e vegetali siano morte nelle lunghe settimane di roghi; che 8000 koala siano morti (il 30% della popolazione totale), facendoli balzare improvvisamente tra le specie quasi certe dell’estinzione.
Sono soprattutto le immagini dei koala a incriminarci: animali innocui, già drammaticamente provati dal disboscamento e dallo sfruttamento intensivo del suolo; animali lenti, che non riescono a mettersi in salvo quando le fiamme avanzano veloci e spietate; animali che si lamentano, con grida così simili a quelle di bambini terrorizzati e che si scontrano sul muro della nostra indifferenza feroce.
Una siccità straordinaria che dura da tre anni, temperature infernali, che si sono spinte fino a 45°, venti fortissimi che fanno sconfinare le fiamme, un’estate australe ancora lunghissima e potenzialmente letale. Di fronte a queste evidenze, il premier australiano Scott Morrison, sovranista, dalle mortificanti e disumane posizioni immigrazioniste, dopo aver comodamente concluso la sua vacanza alle Hawaii, si è affrettato a dire che la situazione è preoccupante ma che il cambiamento climatico non ha nessuna responsabilità in questo genocidio ambientale. Si è dimenticato di sottolineare come l’Australia sia il primo paese esportatore di carbone e di gas naturale liquefatto. Si è dimenticato di sottolineare che il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 ha assegnato all’Australia il rating più basso in assoluto nella valutazione della politica climatica, posizionandola al 65° posto.
In fin dei conti, Morrison ha vinto a sorpresa alle ultime elezioni: vien da dire che sarebbe anche bello che ognuno subisse le conseguenze delle proprie scellerate scelte, se non fosse che il climate change è un’emergenza (che, oramai, è diventata fenomeno strutturale) che avrà conseguenza su tutti gli abitanti della Terra. Aveva ragione Alexandra Ocasio-Cortez quando, con un’enfasi passionale, chiedeva al Congresso americano che cosa ci fosse di elitario nelle questioni climatiche: “Non è un problema elitario, questo è un problema che riguarda la qualità della vita. Vorreste dire alle persone che la loro preoccupazione e la loro richiesta di aria e acqua pulita sia qualcosa di elitario?”. Non può essere elitario il futuro di tutti, la sopravvivenza delle persone, il benessere dei popoli, la felicità di ogni individuo; felicità che, evidentemente, come risulta evidente oggi più di ieri, non può essere soltanto limitata e circoscritta all’asfittica dimensione economica.
L’Australia possiede un patrimonio floro-faunistico unico al mondo: è la terra di specie vegetali e animali che solo lì esistono, dal canguro all’ornitorinco, dal koala ad altri animali e piante. Centinaia di migliaia di esseri viventi che nel giro di poche settimane abbiamo condannato a morire bruciati vivi, senza considerare i tanti animali domestici, come cavalli e bestiame. Di vittime umane ce ne sono state poche, ma è facile fuggire se si è i responsabili del crimine. Strazianti sono le immagini degli animali che lottano per la sopravvivenza, per sfuggire una morte dolorosissima e insensata; decisamente meno compassione provocano i destini degli esseri umani costretti a rifugiarsi sulle spiagge e a essere evacuati con navi militari. Perché l’impronta di bieco sfruttamento e distruzione che l’uomo sta mettendo in atto è oramai irreversibile; ed è responsabilità di tutte e tutti noi. Il futuro è offuscato e velenoso come il cielo di Sydney in queste settimane.
Di questa Terra eravamo stati chiamati a essere i custodi; ne siamo diventati gli assassini. Stiamo celebrando il nostro requiem, al quale noi stessi ci siamo condannati. Non c’è niente di più stupido e suicida che continuare con le politiche neoliberiste e predatorie dell’ambiente. La natura senza l’uomo sicuramente sopravviverà; il contrario è impossibile. Però, alla fine dei conti, sperabile.”