Le “Stonewall riots”, le sommosse avvenute nel celebre locale newyorkese nell’estate del 1969, hanno manifestato l’urgenza, da parte delle persone LGBTQ+, di appropriarsi di diritti civili e sociali fino a quel momento negati, ribellandosi alla violenza e al sopruso che era quotidiano e sistematico. Additate come patologiche, le persone LGBTQ+ hanno decisero di prendere parola, di affermare il diritto all’esistenza e quello, più sostanzioso, di un riconoscimento. Da quei fatti, è scaturito un movimento estremamente efficace, che in poco tempo ha raggiunto obiettivi importanti, ma che ai nostri giorni è ancora drammaticamente sotto attacco. L’erosione di questi diritti significa un’involuzione della società stessa.
“Pride” è orgoglio. Da cinquant’anni questa parola è diventata il simbolo della visibilità, delle rivendicazioni politiche e della lotta culturale delle persone LGBTQ+. Il primo scopo del Pride è, infatti, quello di dare visibilità alle persone LGBTQ+: uno strumento imprescindibile di rivendicazione politica.
La conquista e il mantenimento dei diritti civili ha la necessità di procedere accomunata a quella dei diritti sociali, in modo intersezionale, perché le due dimensioni non sono antagoniste ma si realizzano e si completano a vicenda. In Italia l’atteggiamento sempre più violento verso svariati gruppi sociali, tra cui la comunità LGBTQ+, si sta radicalizzando in varie forme di vessazioni e discriminazioni, dagli insulti verbali e dall’hate speech a vere e proprie aggressioni fisiche, in molti contesti di vita, dai luoghi di lavoro a quelli educativi.
La lotta per la visibilità della comunità LGBTQ+, per l’affermazione delle istanze politiche e sociali, la difesa dei corpi e il benessere generale devono diventare delle urgenze comuni, che coinvolgano tutta la cittadinanza: perché in un paese civile i diritti, sia civili che sociali, devono essere veramente e concretamente universali.